luoghi e memorie

Introduzione    

Per ricordare eventi del proprio passato, le società si affidano a rappresentazioni che possono prendere la forma di rituali collettivi quali giornate commemorative, o assumere forme materiali come monumenti, musei e toponimi. Lo storico francese Pierre Nora ha definito tutte queste rappresentazioni “luoghi della memoria”.

Il percorso qui proposto invita a riflettere sulle drammatiche conseguenze dell'avvento di regimi autoritari nel XX secolo in Europa, attraversando alcuni luoghi della memoria dell'Alto Adriatico. Viene ripercorsa così la complessità delle vicende storiche per giungere, attraverso alcuni luoghi che ne sono stati teatro, al presente europeo di questa regione.

I luoghi della memoria, infatti, sono un ponte tra passato e presente e stimolano riflessioni sul loro legame. Sono concepiti per tramandare la memoria del passato ma parlano della visione del mondo di chi li costruisce.

Strumenti per eccellenza della costruzione di identità nazionali, locali e politiche, tradizionalmente i monumenti esaltano il coraggio, la virtù, la grandezza di chi si intende commemorare; oppure onorano le proprie vittime e denunciano i crimini subiti. L'imponente Sacrario militare di Redipuglia, edificato nel 1938 in provincia di Gorizia, è uno dei più grandi memoriali d'Europa in cui appunto si celebra il sacrificio dei soldati italiani caduti nella Prima guerra mondiale. Redipuglia non menziona i morti di parte avversa e non esprime compassione per l'altro e la sua sofferenza.

Raramente, infatti, i memoriali contengono un'assunzione di responsabilità. Riconoscere i crimini commessi in nome della propria nazione o parte politica rappresenta un processo lungo e faticoso. In Italia, ad esempio, l'opinione pubblica è ancora poco consapevole della durezza del regime fascista nei confronti delle minoranze slovene e croate durante il Ventennio, e dell'invasione della Jugoslavia nel 1941. Di contro, in Slovenia e Croazia è difficile fare i conti con le violenze perpetrate ai danni della comunità italiana che ha subito, oltre agli omicidi di massa delle foibe, anche l'esperienza dello sradicamento con l'esodo degli anni successivi.

Tuttavia, nel lungo periodo, la mancata assunzione di responsabilità si scontra con il bisogno di memoria di chi ha subito violenze. E' il caso del Narodni Dom, la sede delle organizzazioni slovene a Trieste, distrutto nel 1920 dalle camicie nere. Ignorato per decenni, è rimasto il simbolo dell'aggressione fascista contro la minoranza slovena che nel tempo ne ha conservato la memoria e da anni è impegnata ad ottenere la commemorazione pubblica di quella vicenda.

Analogamente, gli eccidi delle foibe hanno dovuto attendere a lungo per ottenere il riconoscimento del diritto alla commemorazione. In conseguenza del lungo oblio durante la guerra fredda, luoghi come Basovizza restano terreno di scontro politico e di contrapposizione nazionale.

Oscurando la tragedia vissuta da migliaia di persone, i dibattiti pubblici con frequenza si concentrano sul numero delle vittime e sulla loro appartenenza politica. Per contrastare questa spersonalizzazione, luoghi della memoria come il museo dell'esodo istriano, fiumano e dalmata a Padriciano, in provincia di Trieste, cercano di dare un volto alle vittime e di riportare l'attenzione sull'esperienza vissuta dai profughi anche attraverso la ricostruzione degli spazi dove si svolgeva la vita del centro di raccolta.

Nonostante siano concepiti per fissare nel tempo la memoria di un evento storico, i monumenti stessi cambiano significato nel corso degli anni. Per comprenderli, quindi, è importante studiarne la biografia, ovvero la genesi, l'evoluzione, lo stato di conservazione.

La stessa modalità di costruzione di un memoriale a volte merita attenzione. Sull'isola croata di Rab, ad esempio, è stato costruito un monumento per ricordare le vittime dei campi di concentramento italiano durante la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, qui si crea un vero cortocircuito della memoria: per edificare questo monumento, infatti, è stato utilizzato il lavoro forzato di altri internati, provenienti da un nuovo campo di concentramento, istituito questa volta dal regime di Tito nella vicina isola di Goli Otok.

Il memoriale di Rab evidentemente non fa menzione del lavoro forzato dei prigionieri politici del regime comunista jugoslavo che lo costruirono. Né tantomeno è stato costruito alcun monumento a Goli Otok, dove gli edifici dell'isola-prigione sono addirittura in stato di abbandono. Ciononostante, per la sua capacità di evocare il periodo più buio della storia del comunismo jugoslavo Goli Otok è di fatto assurta a luogo della memoria pur in assenza di un monumento commemorativo.

Nell'Alto Adriatico, crocevia delle ideologie totalitarie del XX secolo, si trova anche il simbolo della Shoah in Italia: la Risiera di San Sabba. Qui venivano internati gli ebrei italiani prima della deportazione nei campi di sterminio in Germania e Polonia e hanno trovato la morte migliaia di oppositori politici italiani, sloveni e croati.

Infine, con la Piazza della Transalpina, a Gorizia, questo modulo chiude il percorso tra i luoghi della memoria dell'Alto Adriatico, proponendo una riflessione sulla possibilità di costruire una memoria capace di guardare al futuro. Divisa per decenni dalla guerra fredda, la Transalpina rappresenta oggi il superamento dei confini nella cornice dell'Unione Europea, unico orizzonte politico per la costruzione di pace e democrazia nel continente.


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